La riforma Agraria
Il dopoguerra
La Legge Stralcio
QUESTIONE MERIDIONALE
Ne è piena la Basilicata e forse l’Italia di borghi fantasma! Così vengono chiamati quei piccoli gioielli che dormono sotto centimetri di polvere e pietre, riscaldati dalle sciabole di sole che filtra dai tetti sfondati delle case che, a distanza di decenni, sfidano il tempo restando miracolosamente in piedi! Generalmente a soffiare vie anime e Vite sono eventi naturali, qui a Sud il terremoto del 1980 ne ha fatti scomparire tanti di minuscoli centri abitati.
Ma Taccone è diverso!
Taccone, o Borgo Taccone, è un piccolo borgo disabitato (in realtà sembra ci vivano ancora 5 famiglie) voluto e costruito a seguito della Riforma Agraria dopo l’entrata in vigore della Legge 841 del 28 Ottobre 1950, detta anche Legge Stralcio.
Partendo dalla fine, come a volte dovrebbe essere l’intera Vita, la gente e le famiglie sono andate via da Taccone perché, con la terra che avevano avuto a disposizione, non riuscivano in alcun modo a sbarcare il lunario!
La Cassa del Mezzogiorno e le Istituzione d’Italia, Paese appena uscito “sconfitto” dalla Guerra, con questa legge avevano dotato le famiglie più povere di un appezzamento di terreno da coltivare avendo premura di costruire intorno a questi appezzamenti dei centri in cui istituire TUTTI i servizi di cui una comunità poteva avere bisogno, dal Teatro alla Chiesa, dal bar ai negozi di generi alimentari e di prima necessità.
Per circa un decennio Taccone diventa così un centro presso cui si recano anche le comunità vicine, per assistere alle celebrazioni religiose o semplicemente per assistere a spettacoli teatrali o trascorrere qualche ora di svago al bar. Da borghi vicini quindi, radicati come insediamenti, la gente si spostava a Taccone: prodotto sociopolitico nato con l’intento di restituire dignità e lavoro a braccianti agricoli rimasti, dopo la guerra, senza alcuna risorsa!
ESPROPRIO
La riforma Agraria del 1950 era stata una Legge mirata alla suddivisione EQUA delle risorse latifondiste terriere mentre nel ricco nord del Paese veniva incentivata invece una forte spinta verso l’economia industriale e del consumo. Con evidenza, a posteriori, è possibile marcare una iniqua relazione tra i troppo pochi “ricchi” proprietari terrieri ed i quasi esclusivamente “morti di fame” che non avevano più neppure un pezzo di terra da coltivare.
Art. 4. Ai fini della presente legge l'art. 2 della legge 12 maggio 1950, n. 230, e' sostituito dal seguente: "Nei territori considerati dalla presente legge la proprieta' terriera privata, nella sua consistenza al 15 novembre 1949, e' soggetta ad espropriazione di una quota determinata in base al reddito dominicale dell'intera proprieta' al 1 gennaio 1943 e al reddito medio dominicale per ettaro, risultante quest'ultimo quale quoziente della divisione del complessivo reddito dominicale per la superficie, esclusi, sia dal calcolo del reddito dominicale che da quello della superficie, i terreni classificati in catasto come boschi e incolti produttivi. La quota da espropriare ad ogni proprietario, sia esso persona fisica o societa', sulla proprieta' a lui appartenente a qualsiasi titolo, anche se in comunione o pro indiviso, e' determinata dalla tabella allegata alla presente legge. Le norme dei commi precedenti si applicano anche ai beni costituiti in enfiteusi. I terreni trasferiti a causa di morte dal 15 novembre 1949 fino alla entrata in vigore della presente legge ai discendenti in linea retta sono inclusi nel computo del patrimonio di detti discendenti. Resta impregiudicato il diritto degli enti di procedere all'acquisto di altri terreni non soggetti ad espropriazione, previa autorizzazione del Ministero dell'agricoltura e delle foreste. Gli enti possono essere autorizzati dal Ministero della agricoltura e delle foreste a permutare i terreni, dei quali siano divenuti comunque proprietari, con terreni ritenuti piu' idonei alla formazione della proprieta' contadina".
ESPROPRIO RADICALE
In poco più di un decennio il sogno “americhé” giunge in Basilicata ed i poveri contadini che con 4 ettari di terreno stentavano a raggiungere un tenore di vita decoroso, accecati dallo specchio della modernità, decidono in massa di abbandonare questo borgo, quartiere proletario fatto di zappe e scarponi impolverati, per emigrare nel ricco Nord Italia, lasciandosi alle spalle un NULLA pregno di sudore e fatica.
Cosa resta quando si attraversa Taccone? In me resta l’amaro in bocca di una buona idea attuata in nome del fallimento, un desiderio di voler annientare non solo un’area d’Italia ma un’intera ideologia di equità sociale! Restano le icone sacre, il rispetto, la sacralità delle insegne e delle incisioni sui muri. Nessun cazzo disegnato con spray sui muri, nessuna scritta di fazione calcistica o politica, nessun’ammasso di bottiglie rotte o siringhe.
Non resta degrado ma orgoglio: quello neppure la Politica è riuscita a cancellarlo!