La maestria dell’esponente principale della pittura romantica italiana, Francesco Hayez (Venezia, 10 febbraio 1791 – Milano, 21 dicembre 1882), è un perfetto connubio ottocentesco tra l’eredità pittorica veneziana, lo studio della statuaria classica, cominciata da fanciullo alla galleria Farsetti, proseguita nei Musei Capitolini e al Museo Chiaramonti in Vaticano e mediata dalla scultura di Canova, e la pittura tonale di Raffaello, studiato da vicino nelle Stanze vaticane.
Nato a Venezia, riceve lì la sua prima formazione artistica grazie allo zio Francesco Binasco, un mercante d’arte ed antiquario genovese che intese il talento del nipote. Nell’ottobre 1709, Hayez – già allievo dell’Accademia delle Belle Arti di Venezia – si reca a Roma, grazie alla vincita di una borsa di studio proprio dell’Accademia per il triennio di perfezionamento.
Nell’Urbe vi giunge con due lettere di raccomandazione di Antonio Selva e del conte Cicognara indirizzate al cardinale Ercole Consalvì e ad Antonio Canova, già ispettore generale delle Belle Arti per Roma e lo Stato Pontificio.
Per commissioni private e pubbliche che lo portano persino alla corte imperiale di Vienna, realizza tele a soggetto vario che spazia tra i temi letterali, storici, risorgimentali e religiosi. Parallelamente, soprattutto nella seconda metà dell’Ottocento, realizza una produzione ritrattistica vasta, come testimoniano alcune sue immortali tele come il Ritratto di Alessandro Manzoni e il Ritratto di Antonio Rosmini.
Ognuno dei suoi lavori racconta delle sue esperienze accademiche. L’impianto corale del Laocoonte e i figli strangolati da due serpenti, realizzato a Roma tra il 1811 e il 1812, cita l’Ercole e Lica del suo maestro, estimatore e protettore Antonio Canova. Con quest’opera, supportato da Canova e Cicognara, partecipa al concorso di pittura dell’Accademia delle Belle Arti di Brera che nel 1812 finisce con un ex aequo tra Hayez e Antonio De Antoni.
Nelle morbide forme di Armida e nella resa coloristica della foresta della tela Rinaldo e Armida, inviata nel 1813 all’Accademia veneziana, si rivede la scuola del colore veneziana del Cinquecento. Grazie a quest’opera, ottiene per altro di poter restare a Roma un quarto anno alloggiando al Palazzo Venezia con il console del Regno italico Giuseppe Tambroni. Più o meno contemporaneamente, realizza l’Atleta trionfante, con cui il 17 maggio 1813 vince un concorso dell’Accademia di San Luca.
Per una storia d’amore clandestina con una donna sposata, Canova gli intima di trasferirsi a Firenze, dove il 17 marzo 1814 da parte di Giuseppe Zurlo, ministro del re di Napoli, riceve la commissione di un quadro il cui soggetto e il prezzo sono a discrezione di Cicognara. Gli è inoltre dato un assegno di 50 scudi romani mensili, che gli consente di rientrare a Roma, dove riprende a lavorare all’Ulisse alla corte di Alcinoo su suggerimento di Canova. L’arrivo dei Borboni a Napoli implica la sospensione dell’assegno, ma Ferdinando IV acquista comunque il dipinto per Capodimonte.
Poco dopo, viene richiamato a Venezia da Cicognara per realizzare un quadro, andato perduto, Pietà di Ezechia, con cui le province venete, insieme ad altre opere, vogliono omaggiare l’Imperatrice Carolina Augusta di Baviera.
Questi anni veneziani rappresentano una svolta in direzione romantica per Hayez, che realizza il suo primo quadro di soggetto storico-medievale, ovvero Pietro Rossi prigioniero degli Scaligeri, sintesi della sua esperienza romana e veneziana. Mentre è ancora impegnato in questo lavoro, si reca a Milano per «il più bel momento» della sua carriera. Lì, infatti, entra in contatto con gli intellettuali e i nobili milanesi e si avvicina alla pittura a soggetto risorgimentale (nel 1822 realizza I Vespri siciliani, un’opera dal chiaro valore patriottico). Nel 1823 realizza il suo primo importante dipinto a tema letterario, L’ultimo bacio di Giulietta e Romeo, un’opera in interno, acclamata tanto per la tematica quanto per la maestria pittorica, che ha colto un bacio passionale fermando l’attimo della dipartita degli amanti.
Ma quando tu vieni innanzi ad uno di questi dipinti, e ti fermi e lo guardi a lungo, il tuo occhio si avvezza, dirò così, a quella atmosfera artificiata, e quei visi e quegli atti parlano al tuo cuore, e quasi dimentichi di essere innanzi ad una fredda tela, e credi a quel pianto o a quella letizia che il pittore ha voluto esprimere. A ben pochi è dato mettere tanta vita ne’ volti come sa fare l’Hayez.
Arrivabene O., Della pubblica esposizione di opere di Belle Arti e d’Industria fatta in Milano nel settembre 1838
L’opera sicuramente più celebre di Francesco Hayez è sicuramente Il bacio (qui il nostro approfondimento), di cui ne realizzò tre versioni (la prima risale al 1859): il quadro risulta essere il manifesto tecnico e simbolico dell’artista, che esprime qui il suo concetto di pittura come i suoi ideali politici risorgimentali, aprendo ad una nuova stagione sociale per l’Italia come a nuova concezione di arte che si fa portavoce della collettività nel nome della giustizia.
Eulalia Testri per MIfacciodiCultura
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