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Fotografie dall’album della felicità 19

Questo articolo è pubblicato sul numero 8 di Vanity Fair in edicola fino al 23 febbraio 2021

Ho un amico che di tanto in tanto lavora come comparsa in serie televisive. Ruoli secondari. Qualche anno fa ha interpretato un giornalista investigativo in una serie che raccontava una missione del Mossad finita male. La serie è stata trasmessa in Israele e poi venduta a Netflix e oggi viene diffusa con straordinario successo in tutto il mondo.
Durante la prima ondata di Covid-19, il mio amico ha ricevuto un messaggio su Facebook da una sconosciuta. Ciao, gli ha scritto, mi chiamo Melinda, vivo ad Austin, Texas. Mi sono appassionata alla serie televisiva in cui recitavi e ogni volta che apparivi sullo schermo pensavo che sei l’uomo con cui vorrei trascorrere il resto della vita. Immagino che ti suonerà strano, ma se c’è una cosa che ho imparato nei miei quarantaquattro anni di vita, è non sottovalutare l’intuizione.
Il mio amico ha pensato che fosse effettivamente un po’ strano, e le ha mandato una risposta laconica. Per educazione. Al che lei gli ha risposto a sua volta, a lungo. A quel punto lui ha risposto a lei, a lungo. Poi lei ha proposto di passare su Skype. E lui ha visto per la prima volta come si scostava i capelli quando le entravano negli occhi. Si è ritrovato a svelare cose che non aveva raccontato a nessuna delle sue tre mogli. E anche lei, ha raccontato. Come le mancava il marito morto. E mentre parlava ha cominciato a piangere. E lui ha detto, come vorrei essere vicino a te, per asciugarti le lacrime. E lei ha sorriso e ribattuto, possiamo immaginare che tu sia vicino a me. Cos’altro mi faresti, oltre ad asciugarmi le lacrime? Così hanno cominciato a parlarsi via Skype tre volte al giorno, lui in lockdown, confinato nel suo appartamento a Tel Aviv, con la cagnetta che gli è rimasta con la divisione dei beni dopo il terzo divorzio, lei in lockdown confinata ad Austin, Texas, con la gatta pigra che ormai da anni non si alzava dal suo posto sotto il televisore.
Qualche settimana dopo la fine del lockdown, il mio amico e io ci siamo incontrati in un caffè. Dopo aver finito di farsi un selfie con la cameriera che l’aveva riconosciuto dalla tivù, mi ha aggiornato sui drammatici sviluppi nella sua vita. Era raggiante, non smetteva un attimo di sorridere, sembrava innamorato come non l’avevo mai visto e dieci anni più giovane della sua età, quindi più o meno dell’età della sua ragazza – così l’ha chiamata – che la sera prima aveva trovato per loro due un alberghetto di charme a Hydra, in Grecia, insomma – mi ha spiegato – il programma era che lei sarebbe arrivata con tre voli da Austin, Texas, e lui sarebbe arrivato con un volo diretto da Israele, e insieme si sarebbero imbarcati sul traghetto al Pireo. Avevano già stabilito data e tutto, dovevano soltanto fare tutti e due il tampone per il Covid e poi comprare i biglietti; lo sapevo io che l’isola Hydra è quella in cui è nata la grande storia d’amore fra Leonard Cohen e Marianne di So Long, Marianne?
Due giorni più tardi hanno chiuso gli aeroporti a causa di un’impennata nei contagi. E stabilito il secondo lockdown. Più lungo. Pochi giorni dopo la fine del secondo lockdown, il mio amico e io ci siamo incontrati di nuovo in un caffè. O meglio, abbiamo ordinato un caffè da asporto e ci siamo seduti con le tazze di cartone su una panchina in strada. Non c’è stato bisogno di chiedere – sembrava dieci anni più vecchio della sua età – ma ho chiesto comunque. Ha un altro, ha risposto. Di Austin, Texas.
Mi dispiace tanto, ho detto. E gli ho posato una mano consolatrice sulla spalla.
È tutto a posto, ha ribattuto lui, e la voce gli si è spezzata sulla fine della parola; si è appoggiata a me per un po’ di tempo, e io a lei, abbiamo tutti avuto bisogno di appoggio quest’anno, no?

(Traduzione di Raffaella Scardi)

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