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Essenza di profumo

Vogliono proprio toglierci tutto, oramai è chiaro, limpido, cristallino. In realtà siamo noi stessi che vogliamo toglierci tutto, privarci del nostro essere, dei piaceri nella speranza di annullare così anche i dolori. Che abbiamo smesso di pensare era palese già da un bel po’, la curiosità poi, l’abbiamo sotterrata all’ombra del cedro nei giardini dove giacciono le nostre passioni di gioventù. Ma una cosa, l’ultima psicosi collettiva, è quanto di meno poetico ci si potesse attendere dall’intelletto umano, una sconfitta per le abitudini e per i gesti che hanno scritto la storia del sapiens. Buttare nel cesso, così, secoli di storia per elogiare essenze e dipendenze altamente nocive è il gesto che sancisce l’inizio della fine: La Sigaretta Elettronica.

Che nome orribile, troppo ricco di contraddizioni e totalmente privo di un significato grammaticale. Humphrey si starà rivoltando nella tomba a quest’ora, lui che del cilindro di carta ne ha fatto un icona sacra, un segno distintivo di classe e carattere, dissacrante e meditativa con una ricca dose di sex appeal in quei baci arroventati continui che lasciano cenere e profumo di tabacco bruciato come cielo del wiskey a cui si confidano le proprie debolezze.

Ma senza entrare troppo nella poesia, ci stanno togliendo il gusto di bruciarci le camicie mentre guidiamo, sporcare per terra quando ci si dimentica di ciccare e macchiarsi le dita di quel giallo incarnato, tatuaggio indelebile tra l’indice e il medio della mano di ogni temerario fumatore. C’avevano già provato con la strategia del terrore, dicendo che “Il fumo provoca più vittime degli incidenti stradali” e per me che amo fumare in macchina questa maledetta scritta mi ha sempre fatto sentire un supereroe. Ogni giorno rischio la vita con questo gesto estremo, fumare in auto! Lo faccio ogni giorno da anni, in barba alle statistiche, coltivo il cancro dentro di me e guido l’automobile sfidando la sorte come un degno equilibrista nel circo della vita. Demonizzare è l’imperativo per indirizzare le masse verso ciò che i potenti decidono! Ed è creando beni blasfemi come questo nuovo scellerato oggetto che si distruggono vite e storie e tradizioni. Con quale coraggio si sfoglierà quella rivista seduti sul water dopo aver preso il primo caffè bollente della mattina? Non piangeremo più quando il fumo di traverso penetrerà nelle orbite annebbiandoci la vista ed i caratteri sul foglio appariranno umidi e mobili, incomprensibili, nudi ma di una bellezza unica. Di ritorno da una serata trascorsa a cambiare il mondo con discorsi mossi dall’alcool i nostri vestiti saranno spogli di ogni segno, neppure quel tanfo di fumo misto al fritto di un pub saranno più testimoni di un’indimenticabile evento. Ed infine la cosa più brutta di tutte, l’amputazione di uno dei piaceri più sublimi ed unici rimasto a noi peccatori! Saremo costretti a cambiare la batteria o la boccetta dell’essenza di nicotina quando i nostri corpi sudati e caldi, intrecciati e stanchi, quando le nostre labbra e le lingue avranno trovato pace, quando gli sguardi crivellano l’anima e nell’aria ancora ci sarà l’eco dei sospiri e l’acre sapore di sesso miscelato ad amore. I polmoni dovranno accontentarsi dell’essenza di un piacere senza tutto il resto, ci dovremmo privare del superfluo per limitarci al necessario: eccola la vera crisi. La crisi limita il piacere, quello vero, fatto di addobbi e preliminari, di leggere conquiste inutili. E dopo una notte di sesso quindi, impiegata, vissuta, sussurrata, inseguita, lottata, accarezzata e venuta al mondo con ogni parte delle nostre cellule, in cui ogni vibrazione di ogni singola molecola del nostro corpo ha contribuito al piacere non ci sarà più la fiamma e il rumore della rotella d’acciaio dell’accendino che gratta la pietrina per fa nascere quella romantica e poetica luce, l’ennesima, un incenso allo zolfo che brucia tabacco e carta mentre le labbra, ancora vogliose, dall’altra estremità baciano quel cilindro che è stato appena tradito sussurrandone un effimero pentimento che a breve verrà ritrattato tra le lenzuola ancora calde.

I gesti, o meglio alcuni gesti, si compiono per amore e ad essi si dovrebbe rimanere fedeli, in salute e in malattia e non accontentarsi dell’essenza ultima, fredda, infima e materiale di essi anzi, sono i gesti privi di essenza a ridare colore al sangue, a muovere il cardio, a far volare la mente e tenere su le stelle del firmamento ed i sogni di chi ancora vuole sognare. E quindi al mattino a colazione, dopo quella tazza di caffè bollente o quando tra le braccia stanche stringeremo l’amante della nostra vita chiudiamo gli occhi e sforziamoci di sognare ancora. Immaginiamoli quei titoli di coda in bianco e nero ed i tasti del pianoforte che cadono giù sotto le dita di una mano imprigionata da gemelli d’argento e con le labbra accarezziamo quel cartoncino giallo puntellato di bianco, timidamente nascosto nel buio della stanza squarciato dalle luci al neon del motel dall’altra parte della strada. Baciamo il cilindro di carta e senza badare all’essenza usiamo le poche forze rimaste per accendere una nuova fiamma, calda e viva, che riempirà di ombre la stanza. Sospiriamo a fondo lasciando implodere le guancie e lasciamo che l’orgasmo continui mentre un fiume di fumo ci attraversa la gola fino al cuore. In quei pochi secondi ripensiamo a quanto sublime sia stato l’essere scampati al delirio umano che avrebbe voluto che tutto ciò cessasse e sorridendo di noi stessi, dolcemente, regaliamo alle pareti il profumo del fumo misto al nostro alito affinche si tatui per sempre quell’idilliaco istante di felicità assoluta.

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