Dimenticavo

Dimenticavo

L’altra settimana sono ritornato su, a casa mia, in quel piccolo palazzo in cui sono vissuto per cinque anni. Ricordo che l’avevo lasciato un po’ a malincuore ma tutto sommato maledicendolo! I clacson delle auto nel cuore della notte, il caos dei ragazzi che al mattino vanno a scuola, per non parlare delle continue liti dei vicini che si animavano per lo più a tarda notte. Sì, l’avevo anche odiato quel posto, non lo nego, in un paesino di provincia con troppa gente di provincia, tutti sconosciuti, se non altro perchè a casa non ci stavo mai se non nel fine settimana quando mi andava di lusso!

Ci sono ritornato, giusto per controllare la posta sfuggita al “seguimi” e per aprire un po’ le finestre per lasciar entrare un po’ d’aria. C’era un bel sole ed era quasi ora di pranzo, con il coinquilino che di certo mi stava già aspettando a casa contando i passi della lancetta dei secondi dell’orologio in cucina. Ho aperto le imposte e sono uscito sul balcone, da poco rifinito in legno, poco prima che lasciassi casa. Mi riscaldavo e godevo la vista dall’alto del Vesuvio, proprio come ero solito fare a tarda sera prima di andare a letto. Ho calpestato le mattonelle grandi, lucide, di un chiaro luminoso, ed ho attraversato tutte le stanze, proprio come ogni due o tre settimane faccio, ma mi ascoltavo negli echi passati e mi sentivo l’affanno di quando avevo portato su la spesa, piuttosto che di quando me ne passavo le nottate al computer o mi addormentavo sul divano nel salone. Mi guardavo le foto ancora appese ai muri in una luce magica che c’era, la stessa che forse l’aveva riscaldata per anni quella casa. Le pareti colorate riflettevano sfumature sulle parti bianche e sembrava ci fossero ombre più numerose di me. Mi sono ritrovato così a sorridere ed a sentirmi a casa, senza alcun rimpianto di nulla e nemmeno nostalgia. Ero finalmente a casa mia, quello spazio sognato e stentato e poi recriminato ed odiato. Mi affacciavo dal balcone della cucina ed osservavo quella veranda da cui si affacciava una simpatica nonnina con cui scambiavo qualche parola ogni tanto. Non sentivo più Gennaro, il merlo indiano di suo marito, ma lo sapevo che era morto da un pezzo. Gennaro imitava alla perfezione il tono del SMS del cellulare e spesso mi ero innervosito per questo. Sono andato in bagno a lavarmi le mani sebbene non ce ne fosse stato il benchè minimo bisogno, e le ho asciugate rimettendo al suo posto, con ordine, l’asciugamani, Mi sono fermato nel corridoio a godermelo tutto quell’arco d’ingresso in cui si potevano vedere il rosso del vano della porta, il giallo del corridoio ed il verde della camera da letto, e mi sono subito ricordato, con desiderio ed invidia, che sempre, specialmente al mattino, restavo minuti interi a guardarlo dal letto. L’arco finiva esattamente nell’angolino sinistro della porta della camera circondata di un verde caldo. Sullo sfondo un rosso alla Almodovar ed intorno all’arco il giallo Papaya. Non so se per il nesso con il reggae, con l’Africa o con le sensazione che, per me, hanno sempre avuto un proprio colore, ma mi perdevo sempre in quella strana composizione, perfetta se vista dal mio cuscino.

E mi sono così ricordato perchè me ne ero innamorato di quella mansarda in un posto sconosciuto e dalla pessima fama, e mi condannavo per essermelo dimenticato così in fretta e sublimavo al pensiero di stendermi un attimo, giusto qualche minuto, al mio posto sul letto, e godere ancora una volta di quell’arco che per anni mi aveva svegliato ogni giorno. Ma subito l’eco delle lancette della cucina mi hanno riportato sul pianeta Terra, e mi sono rivisto lo sguardo interrogativo del coinquilino che mi aspettava per pranzare in quello stranissimo sabato di Settembte, ed ho ripreso a visitare le stanze per richiuderle, cacciando via la luce dalla mia casa, con l’idiota intento di preservarne i colori. Ho richiuso tutto ed ho guardato nel buio riconoscendolo dentro di me e nei miei ricordi, percependo che ormai dimenticavo di averne più. Sono scappato via giù per le scale, mi stava aspettando a casa, proprio come accadeva spesso nei week-end in cui io lì ci vivevo.

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